di Fabiana Ficarra

Incamminarsi nei lunghi corridoi del Monastero di San Nicolò l’Arena significa ritrovarsi ad ogni passo in un momento diverso dei secoli di storia che caratterizzano uno dei più importanti complessi monastici d’Europa. 

La storia dovrebbe partire dal 1559, anno in cui fu costruito, ma in realtà il viaggio diventa ancora più lungo: si parte dall’epoca romana, la cui presenza è testimoniata dai resti di una domus nelle fondamenta del monastero che, con i suoi mosaici vivaci e pieni di colori, rappresenta una ricchezza inestimabile.

Ritornando al 1500, non è difficile immaginarsi i monaci benedettini aggirarsi in un silenzio sacro tra quelle mura bianche, sobrie, imponenti, illuminate dalle ampie vetrate che si affacciano direttamente sui due chiostri. 

Il primo a ponente, il più antico, è chiamato “il chiostro dei Marmi” e continuando il nostro cammino tra i portici sostenuti da splendenti colonne in marmo bianco, possiamo scorgere la grande fontana marmorea che ci trasporta al secolo successivo, il 600. Anni non molto felici per il monastero costretto a subire l’eruzione dell’Etna che nel 1669 distrugge la chiesa annessa e il terremoto che nel 1693 arriva a demolire gran parte della sua struttura. 

Il chiostro dei Marmi

A partire dal 1702, dopo la ricostruzione, il Monastero si ripopola di monaci provenienti da altri cenobi. Influssi neoclassici invadono, così, quello che prima era stato un complesso prevalentemente tardo barocco. Salendo lo scalone principale realizzato da Palazzotto, infatti, ci accorgiamo che l’unione di queste due correnti dà vita ad uno spettacolo che è impossibile ignorare: le sue forme limpide e raffinate e i ricchi decori fanno da ornamento ai grandi bassorilievi di stucco bianco rappresentanti la vita di quei santi legati all’ordine benedettino.

Lo scalone monumentale

Arrivati al secondo piano, il chiostro di levante e il suo folto giardino ci catapultano, invece, all’interno del diciannovesimo secolo con un bellissimo “Caffeaos” neogotico, decorato da maioliche variopinte.

Il chiostro di levante

L’atmosfera ottocentesca continua ad aleggiare perché, improvvisamente, ci si apre davanti uno scorcio della Catania di Federico de Roberto, il cui romanzo, “I Viceré”, venne trasposto al cinema nel 2007 da Roberto Faenza facendo apparire nella pellicola il sontuoso monastero. Le bandiere italiane sono issate ovunque, siamo nell’epoca del nazionalismo. Una folla trepidante si stringe davanti al balcone della facciata per assistere al comizio di Consalvo (Alessandro Preziosi).

Arte, cinema, letteratura, storia: tutto questo è possibile scorgere tra le colonne, i corridoi, i giardini, le finestre e persino le crepe di questo monastero che è oggi patrimonio mondiale dell’Unesco e sede del DiSUM (Dipartimento di scienze umanistiche) dell’Università di Catania.

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