Esperienze e impressioni.
I tirocinanti IterCulture raccontano il Catania Film Fest 2021 Quest’anno, IterCulture, in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania e l’Università la Sapienza di Roma, ha guidato un gruppo di più di quaranta tirocinanti assistendo nell’organizzazione delle diverse attività del Catania Film Fest 2021. Ecco alcune delle impressioni di ragazze e ragazzi che, oltre a uno strenuo impegno, hanno anche modo di divertirsi vivendo con entusiasmo la vicinanza e la condivisione che gli ultimi anni hanno limitato. È un’esperienza che mi ha fatto divertire e crescere allo stesso tempo. Ho imparato tante cose (excel, fogli google, collaborazione, accoglienza, mantenere la pazienza ahah) e soprattutto ho potuto unire lingue e cinema, due cose che amo! Mi è rimasto impresso l’episodio in cui spiego in inglese, alle finlandesi, la differenza tra arancino e arancina. Sylvie Chiechio Riassumo le sensazioni provate durante l’esperienza del tirocinio con questa parola: coesione. Ritengo che quest’esperienza sia stata estremamente utile per capire e mettere in luce caratteristiche del nostro carattere utili e spendibili nel mondo del lavoro ma anche le debolezze che, in un futuro non troppo distante, andrebbero “convertite” e modificate. La scena che mi è rimasta particolarmente impressa è l’esatto momento in cui, dopo strategie di mimesi, siamo riusciti a concederci due minuti di riposo che abbiamo deciso di spendere visionando il docufilm su Ezio Bosso. Ecco, in quell’istante ci siamo commossi tutti insieme guardando ciò che più ci piace, ossia un artista catturato nelle sue particolarità. Particolarità che resteranno impresse per sempre su pellicola. Rosmery Nicotra Se dovessi riassumere in una sola parola questa mia esperienza direi che la più adatta è sicuramente scoperta, e questo per vari motivi: principalmente perché ho conosciuto tantissime persone nuove, mi sono trovata benissimo con tutti e questo mi ha fatto molto bene dopo il periodo di isolamento della pandemia. Poi stare a Trame di Quartiere mi ha permesso di scoprire questa bella realtà e mi ha aiutato molto ad andare oltre determinati pregiudizi. Sicuramente ho imparato cose nuove ed è stato molto utile, è stato un esempio pratico di uno degli sbocchi lavorativi che ci offre il nostro corso di laurea, certamente lo rifarei. Beatrice Basile Questo tirocinio mi ha dato una bella esperienza di lavoro di gruppo e di interazione sociale ❤ Personalmente, essendomi occupata delle traduzioni, mi ha anche aiutata a comprendere meglio le mie passioni e le mie ambizioni di lavoro! Gabriella Sgró Per me è stato utile e lo rifarei, sicuramente mi è servito a imparare come viene organizzato un evento culturale nei suoi minimi particolari e poter vedere tutto il lavoro che c’è dietro. Sicuramente l’intervista ad un produttore come Marco Belardi è stato uno dei momenti più interessanti per me, essendo un grande appassionato di cinema. Detto questo cosa mi lascia? Sicuramente la voglia di lavorare ed interagire con un gruppo nel raggiungimento di un obiettivo comune. Antonio Toscano Del tirocinio posso dire che mi è rimasto il divertimento, l’impegno e la collaborazione che c’è stata tra me e il mio gruppo di colleghi. È stato utile per capire come funziona il mondo di lavoro, con orari e scadenze da rispettare. Lo rifarei, ho imparato a gestirmi, a collaborare, a essere sempre pronta a ogni evenienza e a lavorare in gruppo. Giorgia Sulfaro Questo tirocinio per me è stato molto utile, ho capito cosa c’è dietro il mondo dei festival, quanto ci sia bisogno di organizzazione e collaborazione per far funzionare tutto. Inoltre, sono contenta di aver partecipato perché, oltre ad aiutarmi nella mia formazione professionale, ho anche avuto modo di conoscere persone fantastiche e di creare nuovi legami affettivi. Simona Trovato È stato utile e lo rifarei, mi ha permesso di utilizzare strumenti nuovi come Google drive per gestire e organizzare in maniera ordinata tutti i dati, è stato un impegno a tempo pieno che ho trovato stimolante. La mia mansione era quella di contattare le scuole al fine di invogliarle alla partecipazione, questo mi ha permesso di parlare con diverse professoresse per essere un loro punto di riferimento per ogni informazione. Ho trovato interessante gestire questa parte organizzativa del festival. Ludovica Coco Sicuramente la prima cosa che mi viene da dire a proposito del tirocinio è che è stato formativo. Studio comunicazione e quindi lavorare con i social e far parte dell’ufficio stampa è stato veramente interessante e certamente utile. Angela Olivella La parola potrebbe essere entusiasmante, mi è stato molto utile perché ho potuto mettere in pratica quello che studio solo in teoria a livello di traduzione. Lo rifarei assolutamente e sì, ho imparato cose nuove come l’uso di Google drive e Excel. La scena che mi è rimasta impressa è Valerio disperato per le recensioni brutte dei film. Fabiana Ficarra Per me è stata tutto sommato una bella esperienza, ho imparato un po’ come vengono gestiti questi eventi, soprattutto come funzionano gli uffici stampa in generale e come funzionano i social in queste occasioni. Lo rifarei perché occuparsi dell’ufficio stampa e della comunicazione in generale mi è piaciuto molto e spero di poterlo fare altre volte in futuro. In particolare mi sono rimasti impressi due momenti: quando ho fatto un’intervista a un attore e quando insieme ai miei colleghi ci siamo fatti una foto con Miguel Gobbo Diaz. Federico Sciuto La parola è passione. Perché l’esperienza del tirocinio ha fatto crescere la mia passione, per l’appunto, per il cinema e mi ha confermato che ciò che voglio fare è lavorare in quest’ambito. È stato utile perché mi ha introdotto nel mondo di cui un giorno vorrei far parte. Ho imparato sicuramente ad essere veloce a svolgere i compiti, grazie alle attività di ufficio stampa e di social media manager. Lo rifarei quindi assolutamente. Mi è rimasto impresso, oltre tutti i bellissimi momenti con i miei compagni della sezione Comunicazione, l’intervista che ho avuto il piacere di fare a Thomas Turolo. Un piccolo passo verso il lavoro che sogno 🙂 Irene Monti Il tirocinio per me è stata un’esperienza piacevole e molto utile perché mi ha permesso
Raccontare il Cinema
Mr Riccio, inviato speciale alla X Edizione del Catania Film Fest, ha avuto modo di seguire da vicino le proiezioni riservate alla Giuria Giovani dei lungometraggi e cortometraggi indipendenti europee in concorso. I giovani giurati sono stati invitati a redigere delle recensioni sui film visionati. Ecco una selezione delle sue preferite. La brutta verità (Die wahre Schöneit) Tolstoj ci avvisa da sempre della singolarità delle famiglie infelici: ciascuna lo è a modo proprio, e chissà che non si riferisse all’eredità di disincanto, allo strappo da un’infanzia sognante che reciprocamente un uomo ed una donna possono regalarsi e declinare in varia maniera. “La brutta verità” di Krishna Ashu Bhati, il cui titolo tedesco originale è “Die Wahre Schöneit”, tesse la propria trama attraversato dalle conseguenze di quel sogno d’infanzia disilluso, incancrenitosi sulla pelle dei personaggi diventati adulti, riflesso sui più giovani. In primo piano è specificatamente la mediocrità dell’uomo incapace di assumere il proprio ruolo di adulto, responsabile del benessere altrui, che calámita l’infelicità dei familiari in un crescendo narrativo che condurrà ciascuno a scelte inesorabilmente autodistruttive, significative della fragilità dei rapporti umani, di quelli familiari e di quello eternamente, talvolta malsanamente misterioso tra uomo e donna. Il racconto che ci si dipana dinanzi proviene dal repertorio più classico della vita borghese infelice ed ipocrita per come ci è stata narrata, ad esempio, da Sam Mendes: all’interno della vita matrimoniale di una coppia si è estinta ogni componente erotica e a nulla valgono le scene in cui Theo e Mona conversano sul divano durante la sera, sorseggiando vino. È un inganno tanto quanto la loro invidiabile casa, castello di cristallo in cui vivono insieme ad Hanna, figlia di Theo, o Teddy, come gli piace emblematicamente farsi chiamare, e nipote di Mona, la cui sorella, suicidatasi, era madre della ragazza: una sorta di peccato originale che tutti, in special modo Hanna, sentono gravare su di sé e da cui sempre più nel corso del film pare si sentano orientati. Theo si definisce un artista, nonostante da tempo non riesca ad esprimersi né con la fotografia né con la poesia; e forse è in un tentativo disperato di essere contemplata dal padre e suscitarne l’ispirazione che Hanna nutre il desiderio di venire da lui ritratta in pose da modella. Mona è un avvocato, ma da tempo un incidente invalidante alla gamba la costringe in casa; soprattutto ha sviluppato un grave alcolismo. Nessuno sembra riuscire ad aiutare né lei né Hanna, donne sole ed ignorate da un uomo rassegnato ad interpretare la parte del marito e del padre distratto che tira avanti senza tentare nulla di più. A rompere il sottile equilibrio è l’irrompere in casa di Alina, ragazza avvenente di cui Theo si invaghisce. Una sottotrama relativa al figlio adolescente dell’amico del protagonista si annoda alla prima ed il nodo è dato dalla specularità del ragazzo rispetto all’uomo: entrambi in fondo accecati dal desiderio della bellezza femminile e disposti a qualunque tattica di fascinazione pur di appropriarsene, a costo del dolore di chiunque, unico obiettivo effettivamente raggiunto. Eppure ciò che strania lo spettatore dinanzi ad una vicenda stereotipata dalla tradizione è l’espressione di un tale dramma per mezzo di atmosfere che paiono agire per contrasto, a cominciare dalla luminosità della maggior parte di scenari contribuenti alla realtà dei personaggi, fino all’ironia farsesca dell’inizio, quando ci sembra di assistere ad una commedia, ma che gradualmente si tinge di tinte sempre più fosche e se pure continuiamo a sorridere per Mona che russa distogliendo Theo dall’estasi onirica, nel frattempo la stessa scena muta, sostenuta da un’atmosfera gradualmente sempre più cupa. I dialoghi stessi non indugiano mai troppo su una riflessione esistenziale e percepiamo lo stato d’animo di ognuno da un’espressività innaturale, caricata e grottesca degli attori, nel caso di Theo in particolare. Il senso di assurdo generale assume massima concretezza nel racconto dei sogni scatenati da Alina nel protagonista, uniche scene in cui i colori cupi della notte trovano corrispondenza con un inconscio buio, in balìa di se stesso; del tormento, nelle medesime occasioni, dicono anche le inquadrature ravvicinate del corpo e del viso di Alina, che indugiano su di lei dilatando il tempo, sospendendolo in un’atmosfera talvolta macabra. In prossimità della conclusione crolla ogni apparenza residua, i nodi vengono al pettine, il ritmo diviene più incalzante grazie al montaggio che fa da raccordo tra la disperazione di Hanna che in un atto estremo tenta il suicidio, sentendosi tradita da amici e famiglia, la disillusione di Theo a cui si manifesta la semplice brama di un padre in Alina, recita che lui non può interpretare; gli è dato, ammesso che ne sia in grado, di essere il padre di sua figlia, che corre ad assistere in ospedale mentre il montaggio alternato ci mostra l’epilogo tragico di Mona, perché “la brutta verità” è che siamo il risultato della somma di ciò che facciamo e che lo sono addirittura gli altri, la brutta verità è che come in una tragedia di Sofocle nessuno in questo film sembra poter scampare al destino che qualcun altro gli ha lasciato in sorte tramite il proprio agire e ancor di più il non agire. La triste, brutta verità è che possiamo solo sperare che Theo e sua figlia si strappino vicendevolmente al vuoto che ha già soffocato alcuni familiari, capendo entrambi che la felicità non è la sospensione in un sogno irrealizzabile (che si tratti dell’ambizione di fare la modella o di un’improbabile relazione), che è invece ancorarsi alla terra e poi gli uni agli altri, così da poter cucire insieme quei pochi, scarsi brandelli che permettano di non vagare nudi del tutto, pur nell’irriducibilità di una ricerca costante che ci fa vivere umanamente fragili. di Martina Seminara Vista Il cortometraggio “Vista” di Gergely Lorinczi lavora delicatamente – quasi in punta di piedi – sulle barriere apparentemente insormontabili che si creano con facilità tra genitori e figli, sulle incomprensioni e sui disagi che conducono o sono causati da un’assenza di comunicazione e dialogo, infine sulla difficoltà di rimediare a questi
Studenti e giovani giurati raccontano la X edizione del Catania Film Festival
Nel corso delle prossime settimane verranno pubblicati articoli sulle attività e recensioni sui film della X edizione del Catania Film Festival, per conoscere il punto di vista delle nuove generazioni e il loro rapporto con il cinema e con il territorio.